Omelia tenuta dal Cardinale Angelo Amato Venezia 16 maggio 2015
1. Il papà Angelo, gondoliere, e la mamma Elena furono i primi educatori del piccolo Luigi Caburlotto1, nato a Venezia il 7 giugno 1817 in una famiglia allietata da dodici figli. Sentendosi chiamato allo stato sacerdotale, il giovane frequentò il seminario diocesano. Fu ordinato sacerdote il 24 settembre 1842 dal patriarca Jacopo Monico. Diventato parroco a 33 anni, diede subito vita a una Scuola di Carità per le fanciulle povere e abbandonate. A sostegno di questa istituzione fondò la Congregazione delle Figlie di San Giuseppe. Nel 1869 gli fu affidata anche la direzione del Manin, il più prestigioso istituto di beneficenza della città, che aveva come scopo la formazione cristiana e professionale dei giovani. Da sacerdote e da parroco pose tutte le sue energie per il bene della parrocchia, delle suore, dei giovani, in un’attività apostolica di grande impatto educativo. Morì ottantenne, nel 1897, in concetto di santità. Don Luigi Caburlotto è il secondo parroco veneziano a essere beatificato, dopo il Beato Giovanni Olini, che fu parroco nel lontano Duecento a San Giovanni Decollato.
2. Nella Lettera Apostolica Papa Francesco chiama il Beato Luigi Caburlotto, sacerdote e fondatore, «eminente educatore dei giovani, apostolo infaticabile della carità evangelica e maestro fedele della dottrina cristiana». Sono tutte qualifiche encomiabili, che hanno radice nella sua santità di parroco dinamico, ricolmo di carità pastorale e di saggezza educativa, convinto com’era che per il risanamento di una società occorresse l’impegno in campo educativo . Alla scuola della parola di Dio, quindi, il Beato – come dice san Paolo nella prima lettura dell’odierna liturgia – si è rivestito «di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità» (Col 3,12), glorificando Dio in parole e in opere ed edificando il prossimo con la sua carità pastorale. In una recente biografia del Beato, le Suore ne hanno sintetizzato l’esemplarità con queste parole: «Come sacerdote ha vissuto l’obbedienza a Dio attraverso le mediazioni umane, quale cammino sicuro sulla strada della santità. Come fondatore ha incarnato l’ascolto, l’umiltà e la carità, luci che guidano orientano, illuminano e rivelano la volontà di Dio. Come educatore ha guidato molti sulla strada della responsabilità personale e della ricerca appassionata della salvezza delle anime»2.
3. Avviciniamo, ora, più da vicino la figura di Don Luigi Caburlotto attraverso le testimonianze di coloro che lo hanno conosciuto e che ne sottolineano anzitutto lo spirito di fede. In ogni circostanza egli aveva l’abitudine di giudicare situazioni, problemi e persone alla luce della volontà di Dio. La fede gli dava conforto, forza e pace nelle incomprensioni, nelle difficoltà, nelle angustie dello spirito. E così formava le sue Figlie spirituali, alle quali lasciò una raccolta di preziosi e pratici suggerimenti, nei quali emerge la sua anima dolce, umile, paziente e piena di fede: «Figlie, molto guadagnate col dire in ogni evento: “Volontà di Dio, paradiso mio”»; «Bisogna tener sempre Iddio nel cuore, idee buone nella mente, i rispetti umani sotto i piedi»; «Dolcezza, dolcezza, dolcezza. Con la dolcezza di fanno i santi»; «Armiamoci di santa pazienza e pensiamo che abbiamo da combattere con tante teste, caratteri e tentazioni, l’una differente dall’altra»3. Alle superiore, poi, lascia un monito, frutto della plurisecolare sapienza cristiana: «Le superiore devono veder tutto, correggere poco e castigare pochissimo»4. E ancora: «Ricordatevi di non temere mai d’essere troppo indulgenti, perché è meglio eccedere in questo, che trattare con durezza. Allora quando vi troverete al tribunale di Dio, se mai avesse a rimproverarvi di troppa indulgenza, potrete rispondere: “Ho imparato da voi, o buon Gesù”»5.
4. La speranza fu la virtù che lo accompagnò nel fondare e guidare le sue opere educative a favore dei più bisognosi. Nella povertà di mezzi economici, nelle incomprensioni di ogni genere, nella promozione del suo obiettivo formativo non si perdeva d’animo, ma proseguiva con fiducia, sostenuto dalla certezza della presenza e dell’aiuto della divina Provvidenza e della collaborazione di persone magnanime. Per questo egli stesso tendeva la mano a chiedere aiuto. Un giorno gli fu suggerito di ridurre il vitto alle alunne. Ma egli si rifiutò decisamente, rispondendo: «Non sarà mai che le mie orfanelle abbiano a patire: aumentate se volete il loro numero e diminuite le retta, io cercherò altrove aiuti per continuare la mia opera»6. Nel processo di beatificazione, un testimone, Eugenio Canova, afferma: «Quando il governo voleva prendere le chiavi a mons. Caburlotto per distruggere gli orfanotrofi maschile e femminile, monsignore risoluto rispose: “Vi darò le chiavi quando non vi sarà più né un orfano, né un’orfana nella città di Venerzia”, e continuò le sue opere con zelo indefesso»7. Era chiamato l’uomo della provvidenza, perché era un sacerdote di fede profonda e di viva speranza.
5. «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi» (Gv 15,9). Queste parole di Gesù proclamate nel Vangelo di oggi, si adattano bene al nostro Beato, nel quale era vivissimo l’amore di Dio e dei fratelli bisognosi. La carità era l’unica giustificazione della sua attività sacerdotale e apostolica. Alle sue figlie spirituali raccomandava spesso: la misura dell’amore è quella di essere senza misura. «Abbi carità verso Dio, amandolo senza limiti», è uno dei suoi consigli più ripetuti8. L’amore a Dio si traduceva in carità verso il prossimo. Nelle memorie di Suor Gertrude Giuliani si legge questo episodio: «Ad un muratore, che pareva non volere accostarsi a far pasqua, [il Beato] chiese: “Figlio mio, perché non adempi il precetto pasquale? Perché non vai a ricevere Gesù?”. Rispose il muratore: “Monsignore, lo farei molto volentieri, ma sono senza scarpe e non ho i mezzi per procurarmele”. Allora il santo ministro di Dio, levatesi dai piedi le scarpe quasi nuove, le consegnava al pover’uomo ed egli infilava un paio di vecchi stivali che già da qualche tempo teneva sotto il letto perché diventati inservibili»9. Con la sua carità generosa provvedeva ai bisogni delle suore. Se erano ammalate le visitava premurosamente, mandava a chiamare un medico e procurava tutti i rimedi necessari10. La stessa premura mostrava verso le piccole bisognose, per le quali aveva attenzioni paterne. Chiedeva aiuto ai benefattori e una volta scrisse anche a Vienna, all’Imperatrice, commuovendola con la descrizione della miseria delle bambine e ottenendo l’aiuto di cui aveva bisogno. Era generoso nelle elemosine e spesso a chi gli rimproverava la troppa prodigalità rispondeva, in dialetto veneto: «Per me, soldi e chiodi sono un tutt’uno»11. Per lui la carità non era mai in eccesso, ma sempre in difetto.
6. Cosa dice oggi il Beato alle Suore Figlie di San Giuseppe, presenti non solo in Italia, ma anche in Brasile, Filippine e Kenya? Possono essere tre i messaggi. Anzitutto le invita a santificarsi. La consacrazione religiosa e la missione apostolica partono dalla santità e portano alla santità. Senza santità l’apostolato inaridisce e l’entusiasmo sfiorisce. Con la santità la carità si espande nella gioia e nella fraternità e rende leggere le fatiche e le immancabili tribolazioni della vita quotidiana. Un secondo invito riguarda l’impegno di servire Gesù mediante l’aiuto alle persone bisognose, grandi e piccole, ricche e povere, fervorose e deboli nella fede. Questo implica un grande spirito di pazienza, di mortificazione e di croce. Dice al riguardo il nostro Beato: «L’albero della croce è il vero albero della pace. La sua radice è l’umiltà, il tronco è la purezza, i rami sono la carità. Piantatelo, vi prego, o carissime, nel vostro cuore questo fecondissimo albero e a misura che le sue radici si sprofonderanno, esso sarà fecondo di foglie, fiori e frutti»12. Pazienza e carità nell’opera educativa è il terzo richiamo che il Padre Fondatore rivolge alle Suore. La scuola è un meraviglioso campo di apostolato, fatto di istruzione civile ma anche di formazione umana e spirituale. La finalità dell’impegno scolastico è l’educazione dei giovani in modo che diventino buoni cristiani e onesti cittadini. La società e la Chiesa hanno bisogno della vostra opera per creare comunità in cui regna la fratellanza, l’accoglienza degli altri, il rispetto reciproco, la comprensione e soprattutto il perdono. Il carisma educativo del Beato Luigi Caburlotto è tutto improntato alla carità e alla dolcezza: «Figlie mie! Io non vi parlerei che di dolcezza, perché con la dolcezza si cangiano le fiere in mansueti agnelli, e poi il vostro spirito assai acquisterà con questa virtù»13. Con la dolcezza si imita la generosità misericordiosa di Gesù: «Egli, poi, sempre generoso, vi tratterà con delicata dolcezza. Oh! Beate voi se gusterete le dolcezze di Gesù! allora ogni peso vi sembrerà molto leggero, ed ogni sacrificio, consolazione»14. La bontà, la discrezione e l’umiltà di San Giuseppe, protettore dell’Istituto, possono aiutare le Suore nel loro compito di fedeltà al carisma del Beato Fondatore. Ma il richiamo alla santità, alla carità verso il prossimo bisognoso, all’impegno educativo è valido per tutti, non solo per le Suore, ma anche per i genitori, per i sacerdoti, per gli insegnanti. Imitiamo il Beato Luigi Caburlotto nel suo entusiasmo formativo nutrito di preghiera e di Eucaristia e manifestato in un continuo e quotidiano atteggiamento di pazienza, di perdono, di dolcezza, di cordialità e di gioia. Beato Luigi Caburlotto, prega per noi.
2 Affermazioni contenute nella Presentazione del libro dello scrittore Domenico Agasso jr, L’impronta della carità e della dolcezza. Luigi Caburlotto, San Paolo, Cinisello Balsamo 2015, p. 10.
3 Positio, p. 683-685.
4 Ib. p. 686. 5 Ib.